- . Il lavoro per riprendere o iniziare un percorso di autodeterminazione, per affrancarsi da condizioni di ricatto economico e di dipendenza: anche i Centri per l’impiego di Taranto scendono in campo a sostegno delle donne vulnerabili. Partito dal Salento, il progetto interistituzionale “R.I.Vi.Vi.” (acronimo di Riconquista dell’Indipendenza per le Vittime di Violenza), elaborato dall’Ufficio Coordinamento dell’Ambito di Lecce di Arpal Puglia, è stato esteso prima al territorio brindisino e ora anche a quello jonico. Qui, l’Ufficio Coordinamento dell’Ambito di Taranto lo ha condiviso con i Centri antiviolenza “Alzaia” e “Sud Est”, con la cooperativa “DOMUS”, con gli Ambiti territoriali sociali e con la consigliera di parità della Provincia di Taranto. In mattinata, si è tenuta la presentazione di R.I.Vi.Vi presso il salone di rappresentanza di via Anfiteatro della Provincia di Taranto, alla presenza di Gianluca Budano, direttore generale ARPAL Puglia; di Luigi Mazzei, dirigente dell’U.O. Coordinamento e Servizi per l’Impiego di Lecce-Brindisi-Taranto; dei referenti di Cav, case rifugio e Ambiti sociali. A illustrare il progetto nel dettaglio, durante la conferenza stampa, sono stati il responsabile unico dei Centri per l’Impiego dell’Ambito territoriale di Taranto, Michele Coviello; la progettista nonché referente di R.I.Vi.Vi. per l’Ambito Territoriale di Lecce, Barbara Rodio, e la referente per quello di Taranto, Mariarosaria Accetta. Proiettata anche la video-intervista alle prime donne prese in carico (riguardalo al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=LBfhxUF1GDs). R.I.Vi.Vi. ha il merito di aver istituito un percorso dedicato e tutelato di accompagnamento al lavoro per le donne vittime di violenza, estendendo la tutela anche ai figli conviventi che abbiano compiuto i 16 anni di età e che risultino disoccupati, inoccupati o in cerca di nuova occupazione. “I centri per l’impiego – ha sostenuto il direttore generale Budano – sono quotidianamente impegnati nel prestare massima attenzione nei confronti di quell’utenza che presenta uno o, spesso, più aspetti di fragilità rispetto al contesto sociale e lavorativo. Nel caso di R.I.Vi.Vi., l’approccio che ARPAL ha delineato punta ad andare oltre l’offerta dei classici strumenti di base per l’inserimento o il reinserimento lavorativo, per intervenire in maniera multidisciplinare e, soprattutto, integrata dinanzi alla loro condizione di debolezza. Compito dell’Agenzia sarà anche quello di elaborare proposte di interventi di protezione sociale a favore di quelle categorie che ne risultano ancora scoperte, proprio come nel caso delle donne vittime di violenza, da mettere a disposizione degli organi di indirizzo politico e istituzionale per le competenze di propria spettanza. Tanto per fare del collocamento mirato lo strumento di protezione di tutte le categorie fragili e non solo degli attuali beneficiari protetti”. UN TEAM ARPAL SPECIALIZZATO E “ANTENNE SOCIALI” NEI CPI
In seno ad Arpal è stato creato, a partire dal novembre 2022, un team specializzato per agire a supporto di Cav, case rifugio e Ambiti territoriali sociali in quello che risulta essere l’ultimo passaggio verso la rinascita e la riconquista dell’indipendenza delle donne, passaggio che coincide con la formazione professionale e l’inserimento lavorativo. Il team, che opera a Lecce, Brindisi e Taranto, supporta le utenti anche in costanza di rapporto di lavoro e in vista di una nuova ricollocazione, lavora fianco a fianco con gli operatori che si occupano di incrocio domanda-offerta e coordina i referenti territoriali individuati, uno per ognuno dei Centri per l’impiego, chiamati a curare la prima accoglienza e a fungere da “antenne” sociali. A Taranto, i Cav, le case rifugio, gli Ambiti sociali o direttamente le destinatarie del progetto e i loro figli potranno entrare in contatto con il team Arpal attraverso:
- mail: coordinamento.taranto@regione.puglia.it;
- direttamente presso i Centri per l’impiego di Castellaneta, Grottaglie, Martina Franca,
Manduria, Massafra e Taranto
IL PERCORSO AGEVOLATO E TUTELATO DI ACCOMPAGNAMENTO AL LAVORO
Il percorso “R.I.Vi.Vi.” si articola in più incontri, che saranno tenuti a distanza temporale
ravvicinata e in ambiente tutelato.
➢ Primo incontro: colloquio conoscitivo
È finalizzato alla consapevolezza di quelle che sono le competenze tecniche,
professionali e trasversali acquisite fino a quel momento dalle donne utenti e dai loro figli;
è finalizzato, inoltre, all’ascolto delle esigenze attuali e delle aspettative.
Successivamente si procederà all’iscrizione o all’aggiornamento della scheda anagrafica
professionale.
➢ Secondo incontro: stesura del bilancio di competenze e motivazione al lavoro
Il team provvede alla stesura del curriculum vitae, alla ricerca delle offerte di lavoro e
all’invio delle candidature, con il supporto del gruppo incrocio domanda-offerta. Vengono
individuati, inoltre, eventuali corsi formativi gratuiti, con indennità di frequenza, per
migliorare le competenze professionali, cercando di conciliare l’attività formativa con
quella lavorativa. Si valuta insieme ai Cav, case rifugio o Ambiti l’eventuale attivazione di
tirocini extracurriculari.
➢ Ulteriori incontri
Sono previsti ulteriori incontri tutte le volte che le donne utenti, da sole o tramite i Cav, le
case rifugio e gli Ambiti, lo richiedano. Arpal garantisce anche il supporto nella
preparazione ai colloqui di selezione con le aziende, successiva attività di monitoraggio
in costanza di rapporto di lavoro, ricerca di nuove opportunità in vista di ricollocazione o
riqualificazione.
➢ Tutela della privacy
È compito di Arpal Puglia tutelare la privacy delle donne e dei minori anche nel rapporto
con le aziende. Solo su richiesta delle utenti e previa valutazione di rischio con Cav, case
rifugio e Ambiti, sarà rivelata ai datori di lavoro la condizione di vulnerabilità delle donne
e dei figli. In tal caso, è prevista anche la possibilità di firmare un “patto di
responsabilità” con le aziende a tutela della riservatezza delle donne e dei figli.
APPROFONDIMENTO: FOCUS SULLA VIOLENZA ECONOMICA
Oltre a quella fisica, ci sono anche altre tipologie di violenza, come quella psicologica ed
economica, forme più subdole e meno manifeste, ma che più mortificano la donna, che meno le
riconosce e denuncia, poiché non lasciano i segni. Nella remota ipotesi che riesca a individuarle,
poi, di solito le percepisce più come un’aggravante della coercizione fisica che come forme di
abuso a sé stanti.
La violenza economica ingloba una serie di atteggiamenti di controllo e monitoraggio nei
confronti della donna, alla quale viene limitata la libertà sotto la continua minaccia della
negazione delle risorse finanziarie, della possibilità di avere un lavoro e un’entrata economica
personale o di poterne usufruire secondo le proprie volontà.
È ciò che porta a instaurare un rapporto di dipendenza che costringe le donne a non interrompere le relazioni con l’uomo maltrattante, non possedendo gli strumenti indispensabili per essere autonome. Già la Convenzione di Istanbul del maggio 2011 ha riconosciuto la violenza economica come vera e propria forma di coercizione che si verifica all’interno della famiglia.
Nel solco del rafforzamento degli interventi normativi in materia all’interno del nostro ordinamento – a partire dalla cosiddetta “Legge sul femminicidio” del 2013, seguita dal Codice Rosso del 2019 – il nuovo “Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023”, oltre che fondarsi sui quattro assi di prevenzione/protezione/punizione dei colpevoli/assistenza, ha messo in campo strumenti di contrasto alla violenza economica con la previsione di alfabetizzazione finanziaria, tirocini retribuiti e norme per favorire l’inserimento lavorativo al fine di realizzare l’obiettivo più generale dell’empowerment delle donne.
Il fenomeno della violenza di genere, infatti, va letto in connessione con altri dati: in Italia una donna su due non lavora (Eurostat, 2022); nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari (7° Rapporto di Save the Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022”).
Dopo la separazione, il 60 per cento delle donne si ritrova nell’indigenza. La dipendenza
economica dal partner è dichiarata come una delle cause principali per cui le donne non si
separano o non osano denunciare l’uomo per abusi e violenze, perché non hanno i mezzi
economici di sostentamento per mantenere se stesse e i figli, perché non hanno un’occupazione
e un reddito proprio.
Nell’audizione alla Commissione Lavoro pubblico e Privato alla Camera dei
deputati dell’8 febbraio 2022, dalla Direzione centrale studi dell’Istat, analizzando i dati ricevuti
dai centri antiviolenza e dalle case rifugio, hanno spiegato poi che “la mancanza di indipendenza
economica sembra anche costringere le donne a subire la violenza per periodi più lunghi.
È comunque alta la percentuale di donne senza indipendenza economica che hanno subito
violenza: il 61,6% delle vittime di stupro, infatti, non erano economicamente autonome”.
C’è anche dell’altro: la violenza nei confronti di una donna, il più delle volte, coinvolge l’intera
famiglia, ripercuotendosi sui figli – anch’essi vittime – o indirettamente, in quanto meri
“osservatori”, oppure, nei casi più gravi, in quanto vittime vere e proprie di violenza diretta anche
nei loro confronti.
Stando a numerose ricerche sociali e criminologiche, i figli che crescono in un
ambiente familiare simile sono, tra l’altro, coloro che più facilmente rischiano di trasformarsi in
possibili futuri portatori della violenza o in autori di altri reati (atti di bullismo, stalking ecc.).