Le recenti dichiarazioni rilasciate dall’Arcivescovo di Taranto, Mons. Ciro Miniero, sull’ex ILVA hanno suscitato forte indignazione e stupore. La frase “Non c’è alternativa a quella fabbrica” manifesta una chiusura mentale assoluta, ignorando le infinite risorse naturali e storiche di Taranto che dovrebbero renderla una città libera, non schiava dell’acciaio. È sorprendente che l’Arcivescovo non abbia considerato questo prima di fare tali affermazioni.
Altrettanto preoccupante è l’affermazione “La chiusura sarebbe veramente una catastrofe”, poiché Mons. Miniero sembra non vedere o voler ignorare che la catastrofe è già in atto da decenni, come dimostrato dalla strage dei tarantini ammalati di cancro e dalle morti causate dall’impianto. La catastrofe non riguarda solo la vita e la salute, ma anche l’aspetto economico, con stipendi che non superano nemmeno i 1000 euro al mese.
Infine, la dichiarazione più inaccettabile è che la nostra comunità “è stata formata a questo”, ovvero alla siderurgia, implicando che i tarantini sono “schiavi” destinati alla produzione dell’acciaio. Questa visione rappresenta un peccato originale e una condanna irreversibile alla quale la comunità tarantina dovrebbe sottomettersi.
Queste parole colpiscono profondamente persone come me, Massimo Battista, affetto da cancro e dipendente ex ILVA in A.S. Così, Mons. Miniero ha riaperto le mie ferite ancora sanguinanti.
Siamo credenti, ma non ci riconosciamo in questa Chiesa. Invitiamo tutti i credenti e le varie confraternite a prendere le distanze da tali affermazioni in nome del diritto alla vita che il Signore ci ha donato.